Tra gli edifici simbolo dell’azione distruttiva del sisma del 6 aprile 2009 resta iscritta, unitamente alla chiesa del Suffragio, quella che per secoli fu l’emergenza chiesastica dominante nello skyline cittadino: il tempio dedicato alla Vergine che i castellani intra moenia di Paganica ebbero concessione di edificare nel punto più alto della città. Quel che resta, oggi, di tanta magniloquente fabbrica sacra testimonia il ricorrere di una lunga serie di crolli e conseguenti ricostruzioni, per lo più determinate dal susseguirsi dei terremoti nell’arco dei secoli che separano l’originaria fondazione duecentesca dalle forme che ricevette per via dei rifacimenti settecenteschi conseguenti al 1703.
L’episodio della Santa Maria di Paganica è tra i più significativi del panorama storico-architettonico aquilano, poiché…
Tra gli edifici simbolo dell’azione distruttiva del sisma del 6 aprile 2009 resta iscritta, unitamente alla chiesa del Suffragio, quella che per secoli fu l’emergenza chiesastica dominante nello skyline cittadino: il tempio dedicato alla Vergine che i castellani intra moenia di Paganica ebbero concessione di edificare nel punto più alto della città. Quel che resta, oggi, di tanta magniloquente fabbrica sacra testimonia il ricorrere di una lunga serie di crolli e conseguenti ricostruzioni, per lo più determinate dal susseguirsi dei terremoti nell’arco dei secoli che separano l’originaria fondazione duecentesca dalle forme che ricevette per via dei rifacimenti settecenteschi conseguenti al 1703.
L’episodio della Santa Maria di Paganica è tra i più significativi del panorama storico-architettonico aquilano, poiché concentra in sé il senso vero delle stratificazioni stilistiche che di larga parte interessarono la città nel corso dei secoli.
Non v’è dubbio, anche sulla base di un’analisi non necessariamente sistematica, che la chiesa di fondazione ricevette un’organizzazione volumetrica più pacata e vicina al modus operandi dell’epoca; tesi, questa, sostenuta in prima istanza dalla presenza della splendida facciata in pietra concia il cui profilo quadrangolare lascia ben supporre si trattasse di una soluzione largamente diffusa in città nei primi decenni del XIV secolo, sorella delle fronti di S. Giusta, S. Pietro e S. Marciano -a citar esclusivamente le Capoquarto- come si evince, tra l’altro, nell’iscrizione scolpita sull’architrave del superbo portale d’ingresso recante quale data il 1308.
Il corpo di fabbrica di cui oggi non è possibile intravedere il poderoso sviluppo, ma del quale restano frammenti a denunciarne l’elevazione, fu il risultato di un’intensa opera di ri-costruzione settecentesca che partecipò violentemente alla trasformazione di ciò che rimase in piedi nell’immediato post sisma.
Fonti storiografiche accreditate lasciano ipotizzare, con assoluta certezza, che la Santa Maria delle origini consisteva in un’unica grande aula, larga quanto l’attuale fronte, la cui copertura a capanna sorretta da incavallature lignee restava coperta al di sotto del coronamento orizzontale della superba facciata. La pianta dell’invaso presbiterale, organizzato secondo le linee di una nave trasversa rispetto alla longitudinale, trovava conclusione nel vano di base della possente torre campanaria di cui ancora oggi si svela la possanza sul Chiassetto del Campanaro, e per la quale si lascia ipotizzare uno sviluppo originale dell’elevato pari almeno al doppio dell’attuale. Concepita presumibilmente quale struttura d’avvistamento in ragione di una preesistenza difensiva antecedente l’edificazione della chiesa, detta Torre fu mozzata nel 1557 per scongiurare il pericolo di crollo contestualmente a ragioni di carattere funzionale legate al suo eccessivo sviluppo verticale di intralcio al tiro delle artiglierie dal Forte spagnolo.
L’impianto attuale, trasformato significativamente nei suoi caratteri dimensionali nel Settecento, traduce il tentativo di restituire sensazioni degne dello stupore e la meraviglia dei fedeli, organizzando il piedicroce nelle forme di una imponente navata cui si innestano quattro cappelle per lato, ritmate da intercolumni, e lasciando che l’abside semicircolare richiami a sé l’occhio sorpreso alla vista dell’imponente invaso cupolare che si eleva con forza all’intersezione del grande transetto. Le cappelle laterali, preesistenti ma di non certa collocazione temporale, vennero radicalmente riprogettate introducendo un singolare carattere compositivo allorché gli invasi, conclusi nel transetto, si staccano dalla facciata lasciando che questua anticipi con tutta la sua poderosa altezza, ancor più accentuata dalla sopraelevazione rispetto alla prospiciente via, l’intero corpo di fabbrica. I lavori si protrassero per l’intero secolo, tanto che la zona absido-presbiterale fu innalzata nel tardo Settecento. Il risultato dové evidentemente essere un raddoppiamento del volume rispetto all’antico impianto.
La storia dell’architettura aquilana scriveva così una delle pagine più originali della sua evoluzione, da leggersi -non ultima- nell’affermarsi di un profondo desiderio di rinascita.